L’analisi di Augusto Verlicchi, Direttore settore Cerealproteici.
Tralasciando
i dati relativi alla produzione primaria di frumento tenero e frumento duro che
tutti sappiano essere deficitari rispetto ai fabbisogni interni della nostra
industria di trasformazione, credo sia opportuno concentrarci sui mercati di
sbocco in termini di fabbisogni quantitativi e qualitativi. Questo per uscire
dalla logica di una produzione indifferenziata che spesso non soddisfa le
esigenze della trasformazione, appesantisce un mercato di una commodities che
deve competere con produzioni estere che spesso hanno costi di produzione
inferiori. Pertanto “prima si vende poi si produce”, oggi più che mai, questo
principio è attuale per cui l’analisi dei mercati di sbocco è indispensabile.
Dai dati
Italmopa sull’attività produttiva del settore molitorio, l’utilizzazione di
sfarinati di frumento tenero e di frumento duro nel 2016 si è attestata in
7.751.000 tn. Con un incremento dello 0,7 % rispetto al 2015.
Per quanto
riguarda l’Industria molitoria a frumento tenero, si è registrato un leggero
decremento degli sfarinati per il mercato interno in particolare gli impieghi
di farina di frumento tenero per la produzione di “pane” e “sostituti del
pane”, mentre sono incrementate le esportazioni.
La
riduzione dei consumi interni di pane, in particolare fresco artigianale, sono
riconducibili sia a esigenze domestiche dovute a stili di vita che si sono
modificati, e che quindi hanno ridotto i consumi per
contenere gli sprechi, sia anche penalizzate da informazioni mediatiche che
troppo spesso tendono a privilegiare il consumo di prodotti più o meno con
caratteristiche salutistiche, non sempre però suffragati da dati scientifici
attendibili.
Di
contro, l’utilizzo di sfarinati per la produzione di prodotti della
biscotteria, lievitati e monodose da forno, registrano incrementi nell’ordine
del 2,4 %, così come per alcuni sfarinati adatti per la produzione di prodotti
dolciari.
In
leggero aumento anche l’utilizzo di diverse miscele di farina di frumento
tenero destinate all’utilizzo domestico.
Infine,
è risultato essere in aumento anche l’utilizzo delle farine per la produzione
di pizze e retail.
Tutto
ciò sta a significare che la nostra industria molitoria sta diversificando la
gamma di offerta per andare a incontrare e rispondere alle specifiche richieste
ed esigenze di un consumo estremamente diversificato rispetto al passato.
Questo,
se vogliamo stare al passo, impone di produrre dei frumenti con caratteristiche
molitorie appropriate all’uso, per i quali sono destinati e, chiaramente,
occorre tenerli differenziati durante la fase dello stoccaggio.
L’utilizzo
del frumento duro per la produzione di sfarinati nel 2016, è incrementato
dell’1,3%, dovuto soprattutto all’aumento dell’export di pasta. Per quanto
riguarda il nostro consumo domestico di semola, i dati Italmopa evidenziano
che nel 2016 la produzione complessiva è stata di 3.629.000 tn. di cui per la
produzione di pasta 3.416.000 tn. Italmopa evidenzia nel suo ultimo rapporto
che nel 2016 sono ulteriormente incrementate le richieste, sia nel comparto del
frumento tenero, sia in quello del frumento duro, di prodotti innovativi,
spesso considerati salutistici dai consumatori, e per prodotti ottenuti con
materie prime di origine regionali o locali. Nonostante alcuni di questi
prodotti siano ancora considerati di nicchia, stanno assumendo un peso in
termini di valore economico importante per il nostro mercato interno, in
particolare per il prodotto bio e a residuo zero.
Stante
l’evoluzione delle richieste da parte della nostra industria molitoria, il suo approvvigionamento
sia in termini quantitativi sia qualitativi, ma soprattutto economici, è per il
nostro Paese oggi molto alto e quindi si trova costretto a ricorrere a ingenti
quantitativi d’importazione.
Nel 2016,
a fronte di una produzione nazionale di 5.049.322 tn. per il frumento duro e di
2.988.760 tn. per il frumento tenero, le importazioni hanno raggiunto i
2.357.147 tn. Per il frumento duro e di 4.754.681 tn. per il frumento tenero.
Questo
significa che per la produzione nazionale esiste uno spazio enorme di
miglioramento che potrebbe essere conseguito attraverso l’azione congiunta di
tutti gli attori della filiera, partendo dalla ricerca genetica, al miglioramento
delle tecniche di produzione, all’adeguamento dei centri di ritiro e
stoccaggio.
Infine,
occorre che la commercializzazione si possa collegare in termini di
disponibilità quantitativa e di tempistica alle richieste dell’industria, e
occorre trovare la giusta remunerazione della coltura attraverso i contratti di
coltivazione, che consentono di ridurre gli scostamenti e le volatilità che
subiscono i prezzi di mercato.