L’annata
agraria che si va chiudendo sarà da ricordare soprattutto perché dà il segno
dell’incidenza cha ha raggiunto la questione dei cambiamenti climatici sui
risultati di produzione mondiali e sulla dinamica dei prezzi.
Nel
nostro Paese la chiusura dei raccolti dei cereali a paglia è avvenuta
all’insegna della normalità (un po’ altalenanti le rese in provincia di
Ravenna, con risultati differenziati a seconda dei terreni e delle precessioni
agronomiche adottate, decisamente scarse le rese in provincia di Ferrara), con
buoni risultati quantitativi e qualitativi e con un considerevole recupero di
prezzo, spinto dalle notizie di forti perdite di produzione nei granai dell'Europa
dell’Est (Ucraina, Russia) e dalle previsioni sul crollo dei risultati di
produzione dei cereali autunnali (mais, sorgo, soia) negli USA. A oggi, in
piena campagna di raccolta del mais, i dati di produzione sono i peggiori delle
ultime annate. Parliamo di perdite di rese dell’ordine del 60%, in linea con le
notizie che vengono dall’area del Corn Belt negli USA. Le stesse valutazioni
valgono per la soia e per il sorgo: i prezzi in forte rialzo non potranno
compensare una decurtazioni delle rese così marcata. Oltretutto alle minori
rese va aggiunto l’insorgere, a livello mondiale, di problemi di sanità che
decurterà ulteriormente il valore della produzione e aumenterà
significativamente i costi per i controlli e i rischi commerciali per gli
stoccatori!
I
danni da siccità sono stati pesanti anche per altre colture annuali, come il
pomodoro da industria, che in vaste aree del Sud non ha potuto arrivare a
raccolta.
Cali
significativi di pezzatura dei frutti e conseguentemente di rese per ettaro, si
sono riscontrati nelle pesche e nelle nettarine e si annunciano anche per le
produzioni invernali di mele, pere e kiwi. I valori di vendita dei calibri di
qualità si sono comunque dimostrati superiori allo scorso anno. Vista la lunga
stagione siccitosa, però, la percentuale di tali calibri è risultata inferiore,
nonostante l’ottimo lavoro attuato dai tecnici per la valorizzazione delle
produzioni. Risultato: una PLV per ettaro sicuramente superiore rispetto al
2011, ma non pienamente corrispondente alle aspettative dell’impresa agricola.
Infine,
nel comparto delle carni è facile prevedere l’effetto dell’impennata dei costi
di alimentazione, stante la difficoltà, in fase di recessione economica, a
recuperare sui prezzi finali di vendita al consumo. «L’incidenza del fattore clima sui risultati di
produzione di beni alimentari di primaria necessità la dice lunga sulla forbice
che si è generata tra gli orientamenti di politica agricola della UE e
l’andamento dei mercati – spiega Gilberto Minguzzi, Amministratore Delegato Terremerse
– Mentre la Ue si balocca, in sede di riforma della PAC, sul greening e sulla
sottrazione di terreno fertile dalla coltivazione, il mondo sta drammaticamente
chiamando in causa l’attualità del carattere strategico della produzione
alimentare. Già nel 2008 la crisi alimentare aveva contribuito ad attivare la
primavera araba e a rivoluzionare assetti delicatissimi sul piano geopolitico.
Dieci anni fa la UE preparandosi ai negoziati WTO si è data una politica di
auto contenimento, tagliando gli aiuti diretti alla produzione e facendo
sparire intere filiere, come quella bieticolo-saccarifera e non solo quella».
Prosegue Minguzzi: «L’attuale
struttura della PAC, pesante per i costi che sostiene per finanziare i
pagamenti diretti all’ettaro e altrettanto pesante nell'articolazione
burocratica, ha effetti meno che marginali sulla sostenibilità economica della
produzione agroalimentare: insomma l’impegno di bilancio è inversamente
proporzionale all’efficacia! Sarebbe ora che la Ue ripensasse i limiti della propria
visione dello sviluppo agroalimentare possibile. Le potenzialità di sviluppo
futuro dovranno arrestarsi in corrispondenza delle strozzature del mercato
Europeo, che registra una domanda in contrazione, sia per effetto della
riduzione del potere d’acquisto, sia per effetto dell’invecchiamento della
popolazione e del mutare delle diete, anche in corrispondenza dei mutamenti
della composizione etnica della stessa? Oppure sarà opportuno tararsi
sull’espansione della domanda mondiale, accrescendo la capacità competitiva del
sistema, in ragione di una nuova capacità di coniugare qualità, distintività,
origine territoriale, con organizzazione, così da aggredire target commerciali
differenziati e nuovi mercati, anche lontani».
Conclude
l’AD di Terremerse: «La padronanza di
singoli asset competitivi, vincenti sui mercati di prossimità, non ha alcuna
possibilità di affermazione sul mercato globale, se non si giunge alla
declinazione congiunta di qualità, organizzazione, dimensione d’impresa o di
rete. Urge correggere la rotta, assumere una strategia proattiva in direzione
della prevenzione di crisi alimentari globali, mettendo al servizio delle
esigenze alimentari della popolazione mondiale, nonché della stabilizzazione
dei redditi agricoli nella UE, la capacità produttiva europea e il know how
delle nostre agricolture avanzate».